ALESSANDRO BARICCO: considerazioni su "Castelli di rabbia" e "Oceano mare"
Quando leggi un libro di Alessandro Baricco sembra che il mondo per un attimo si fermi.
Non hai idea di cosa stai leggendo il più delle volte ma continui imperterrito a leggere.
Perchè diciamocela tutta leggere non è poi così semplice; alle volte tutto scorre in maniera così veloce e lineare ma altre volte capitano situazioni in cui la lettura diventa così difficile che ti ritrovi a dover rileggere quella parola, poi quella frase, poi quel paragrafo, fin quando tutto non ti è chiaro e i personaggi del racconto riesci a immaginarli nella tua mente in maniera chiara e reale, come qualcosa di "finalmente ora ha un senso!".
Ho cominciato il viaggio intitolato "Castelli di rabbia".
Poi sono arrivata alla conclusione.
Lì la confusione, le domande e i perchè.
Quel linguaggio super veloce, quell'accostamento continuo di immagini e situazioni attraverso dei semplici trattini o barre laterali, quell'affidare ai vari personaggi frasi e discorsi infiniti quasi impercettibili alla semplice lettura. E poi le ripetizioni continue di stesse frasi e stesse parole.
Ma d'altronde questo è Baricco, o lo odi o lo ami; e in mezzo a questo odi et amo c'è una linea sottile di smarrimento ma anche di dubbi che nemmeno al termine del racconto si trovano risposte certe. Occorre cercarle e indagarle.
Dunque spesso mi sono chiesta il perchè, il motivo di voler per forza ricreare ogni volta questo velo di incertezza. La risposta - a mio avviso si intende - non può che essere molto semplice: il lettore deve comprendere di volta in volta cosa c'è dietro ad una singola e geniale parola.
Si, il potere della parola; è su questo che fondamentalmente uno scrittore basa il suo successo.
Siamo tutti in grado di scrivere, tutti.
Ma chi sa realmente Usare le Parole? nell'antichità si sarebbe risposto dicendo "bè, l'oratore", oggi invece - secondo il mio parere - è lo scrittore colui che ha il pieno potere, il Vero Potere della Parola.
Lo scrittore Vero ha un unico obiettivo: quello di trasmettere qualcosa, qualunque cosa: risate, pianti, dubbi, smarrimenti, perplessità. La cosa importante è trasmettere. Per me questo è Baricco.
Ciò che emerge da "Castelli di rabbia" è la rabbia.
La dinamicità astratta dei pensieri, la bizzarria della caoticità, le situazioni strampalate sono un contorno.
Tuttavia "Castelli di rabbia" è un rifugio, un luogo in cui si può ritrovare la pace nelle assurdità.
Quanti di noi d'altronde non si sono mai rifugiati dietro un azione un po' folle per nascondere in verità una realtà angosciante, che fa male, che soffoca? Quanti di noi scrivono per rintanarsi in un'utopia che allontana e che riscalda cuore e animo?
"E' una specie di gioco. Serve quando hai lo schifo addosso, che proprio non c'è verso di togliertelo. Allora ti rannicchi da qualche parte, chiudi gli occhi, ed inizi ad inventarti delle storie. Quel che ti viene. Ma lo devi fare bene. Con tutti i particolari ... E lo schifo a poco a poco se ne va. Poi torna, è ovvio, ma intanto, per un po', l'hai fregato."
Allora il ragionamento si semplifica di fronte a queste frasi.
Tutti noi siamo un po' quella donna che rifletteva - immersa nell'orrore - a bordo del famoso Transatlantico Atlas il 14 febbraio 1922; e ci insegna non solo a trovare paradossalmente conforto nella tristezza che diventa assurdità, ma ci insegna anche ad andare avanti imperterriti - come ignari del nostro presente - verso un futuro che sa di nuove promesse e fresche speranze e curiose novità.
"Ne ho viste tante, ma solo due cose sono riuscite a mettermi addosso: tanta voglia e tanta paura nello stesso momento. Il sorriso di Tool, quando c'era Tool. E adesso l'America."
In un altro viaggio chiamato "Oceano Mare" ho riscontrato così tanti e forti parallelismi quanto enormi differenze rispetto a "Castelli di rabbia".
Differenze che colpiscono il lettore durante la semplice lettura.
E non mi riferisco al titolo che è cambiato, alla copertina che è cambiata. Mi riferisco a quella sensazione di profonda calma e pacatezza che si avverte leggendo parola dopo parola, come osservando il mare; ed è il mare infatti il grande protagonista di questo secondo racconto.
Mare. Mare. Mare.
Oceano Mare.
Libro primo. La locanda Almayer. Sembra immersa in un mondo tutto suo. Ospita i più diversi personaggi legati ognuno - per un motivo o per l'altro - al mare. Chi per risanare da un'oscura malattia, chi per placare i propri istinti adulteri, chi per dipingere l'inizio del mare, chi per studiare la fine del mare.
Qui tutto è "cullato dall'oceano mare".
Il mare: "il muto esistere di acqua e terra".
Libro secondo. Naufragio della fregata Alliance. Una zattera salvifica - oggetto di desiderio di numerosi reduci - e due persone che raccontano scenari diversi ma che sono in realtà spettatori di un medesimo scenario: il mare, o meglio il ventre del mare.
Un mare che si mescola alla morte, al dolore, all'orrore, alla ferocia e all'essere inconsolabili.
"Sembrava uno spettatore, perfino silenzioso, perfino complice. Sembrava cornice, scenario, fondale ... Il mare era tutto. E' stato fin dal primo momento, tutto ... C'è solo il mare. Ogni cosa è diventata mare."
Libro terzo. I riflettori sono puntati sui vari personaggi-ospiti della locanda Almayer.
Il mare non è più semplicemente mare, ma è metafora dalle molteplici sfumature: un mare che diventa scoperta di donna e di cura, un mare che acceca e confonde ma che conduce - prima o poi - alla rettitudine, un mare che sa di rinascita, un mare che profuma di arte e di colori ritrovati, un mare che conduce - dopo continue peripezìe - a ritrovare il gusto della vita nonchè la pace, un mare che invoca pazzia e vendetta.
Un mare che è vita.
"La pietra iniziò a saltare sul pelo dell'acqua, una volta, due, tre, non la smetteva più, saltava che era un piacere, sempre più lontana .. come se l'avessero liberata."
Ed è così che si conclude questo ultimo e pacato viaggio. Ancora una volta le domande e le perplessità affiorano; ma ciò che rimane immortale - come del resto al termine di ogni libro di Baricco - è quella sensazione di velato straniamento che inebria la mente di mille curiosità.
E così - con la mente inebriata - distinguo e comprendo che "Castelli di rabbia" e "Oceano mare" non sono così diversi; sono come due gemelli eterozigoti che sembrano dannatamente differenti ma che sono tuttavia esseri umani di cui si scorge una certa, apparente, timida somiglianza.
Due racconti ricchi di fantasia che ti sanno trasportare verso l'infinito tenendoti per mano.
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