Jean Webster: Papà Gambalunga - Recensione










Il celebre romanzo "Papà Gambalunga" conosce da sempre una grande popolarità. Forse la maggior parte di voi ne avrà sentito parlare grazie ad un cartone animato - dall'omonimo titolo - che veniva trasmesso qualche tempo fa in tv - esattamente nel 1990, prodotto dalla Nippon Animation. I più intellettuali invece lo ricorderanno per l'enorme celebrità dello scrittore - anzi scrittrice, perchè come spesso accadeva a fine Ottocento, molte donne si celavano dietro il nome di un uomo, in quanto il mestiere non veniva considerato adatto ad una donna - di nome Jean Webster, all'anagrafe Alice Jane Chandler Webster: autrice americana super apprezzata in tutto il mondo per le sue battaglie che riguardavano questioni sociali, e in particolar modo la donna e l'istruzione. 
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Il libro narra una storia molto semplice; ma è proprio nella sua semplicità che si intravedono numerosi insegnamenti morali e frasi su cui riflettere. Ecco perché è ritenuto da sempre un testo adatto sia per ragazzi che per adulti.

Di solito le storie narrate negli orfanotrofi riscaldano il cuore; danno quel senso di commiserazione, pietà e un pizzico di dolcezza. Anche in questo caso la sensazione è la stessa, sopratutto perchè la voce narrante è la stessa protagonista-bambina che vive nell'Istituto John Grier - un orfanotrofio per l'appunto. Non è una bambina come tutte le altre. Innanzitutto l'età: ha raggiunto i diciotto anni e - secondo il regolamento - non potrebbe più risiedere in quel luogo, ma per lei è stata fatta un'eccezione. Come compensamento dovrà occuparsi delle faccende domestiche e di tutti gli altri bambini più piccoli; l'altro elemento discostante è il carattere: solare - tanto che ogni occasione era motivo per sorridere - , super premurosa verso gli altri, ma allo stesso tempo era spirito ribelle e determinato. 
Il suo nome? Jerusha Abbott - anche se preferirà farsi chiamare Judy. La sua vita improvvisamente cambia un "deprimente Mercoledì" - così si intitola il primissimo capitolo - durante la quale viene convocata dalla direttrice dell'istituto; mentre scende le scale per dirigersi verso l'ufficio  della signora Lippett, intravede di sfuggita un uomo - probabilmente un Benefattore - che agita la mano verso un'automobile in attesa lì vicino e, non appena gli fu di fronte, con i fari che lo illuminavano, si creò come per magia un'ombra davvero bizzarra che destò la meraviglia di Judy: è da quella strampalata visione che nasce il nomignolo di Papà Gambalunga, in quanto la forma dell'ombra sembrava ricordare un tipo di ragno molto comune che riportava il medesimo nome.

L'ombra mostrava delle gambe e delle braccia mostruosamente allungate che correvano lungo il pavimento e sulla parete del corridoio. Sembrava, davvero, un enorme, gesticolante papà gambalunga.

Si scoprirà poi che - quella famosa e divertente ombra - sarà il Suo Benefattore, e oserei dire il suo Salvatore. La sagoma di quell'uomo così misteriosa rimarrà sempre impressa nella mente di Judy, anche negli anni a seguire quando sarà più grande. E' grazie a lui infatti che riesce a permettersi un futuro in un college prestigioso, proprio perchè sarà lui che deciderà di pagarle l'intero percorso universitario. Non si sa per quale motivo, non si sa cosa lo abbia spinto a compiere un atto del genere, ma sicuramente Judy sà che gli deve - e gli dovrà - tutto per questo. Perchè più di ogni altra cosa l'ha salvata dalla monotonia e dalla tristezza e dal grigiore delle giornate che viveva in istituto. Adesso invece le era stata data una possibilità di riscatto, in cui istruzione e indipendenza le avrebbero fatto da pilastro su cui gravare. 
Soltanto una richiesta le venne fatta per ricambiare il gesto offertole: dovrà scrivere regolarmente al suo ignoto benefattore - che d'ora in poi chiamerà Papà Gambalunga per via di quella famosissima e buffa ombra intravista tempo addietro - per aggiornarlo sui suoi progressi nello studio; e il benefattore in cambio dovrà restare sempre in anonimato e non dovrà mai rispondere alle sue lettere. Inizia così il secondo capitolo del libro - che copre poi l'intero testo - dove viene riportata tutta la corrispondenza tra Judy e il suo filantropo sconosciuto.  

Come dicevo prima, sono lettere a "senso unico" perciò nonostante abbiamo un destinatario, in realtà vengono scritte con la consapevolezza di un "non-ritorno". Perciò le epistole diventano in questo modo anche un occasione di riflessione - simili a monologhi - su i più svariati temi. Non solo le novità e i progressi di studio - come già detto prima - ma riporta anche tutte quelle freschezze che appartengono ormai ad una nuova vita che profuma di cambiamento: le amicizie, gli amori, le passeggiate, le gite, la città di New York.

Risultati immagini per jean webster daddy long legsTraspare sempre quella volontà di ricercare una sorta di figura famigliare, forse perchè Judy non ne ha mai avuta una accanto; in questo modo Papà Gambalunga diventa non solo un finanziatore ma anche un padre - e non solo - talvolta anche una madre, una nonna, uno zio. Ogni volta che Judy si trova a contatto con la realtà - una realtà che conosce per la prima volta - nasce e si sviluppa in lei un senso, un dovere di confronto; da questo confronto si rende cosciente delle proprie certezze nella vita, quelle che ha avuto fino ad ora e quelle che purtroppo non potrà avere mai: una famiglia d'origine. 

La famiglia è sempre il luogo in cui trovare conforto e sicurezza - almeno nella maggioranza dei casi. Judy non l'ha mai avuta e perciò ricerca questa mancanza in una figura che non c'è, che non conosce e che in un certo senso non esiste.

Vi troverò sempre il più simpatico di tutti, perchè siete la mia intera famiglia concentrata in una sola persona.

Più il tempo passa, più le lettere aumentano e insieme ad esse Judy diventa una persona più matura. Ormai è una persona informata, legge e studia, si confronta con la realtà e ne conosce sempre di nuove. Giunge così a comprendere nuove verità e nuove riflessioni che forse - se non avesse avuto quella grande occasione nella vita - non avrebbe mai conosciuto. E così raggiunge l'idea che chiunque è in grado di sopportare una crisi nella vita con coraggio, ma che soltanto pochi sanno affrontare i problemi della giornata con il sorriso; e così allo stesso tempo - nel mentre apprende la lingua francese, la geometria, la chimica o la biologia - sottolinea che avversità, dolore e delusione non sviluppano una qualche forza morale nelle persone - come forse sarebbe dovuto accadere a lei stessa - e capisce anche che le persone felici sono quelle che traboccano di gentilezza.
I ricordi dell'orfanotrofio riaffiorano qua e là, tra una lettera e un'altra. Non sono mai ricordi piacevoli ma piccoli racconti di una vita basata sugli obblighi forzati e sulla conseguente negligenza nata da un lato a causa dei doveri imposti e dall'altro a causa dell'essere semplicemente una bambina - curiosa. 

Ora questa nuova realtà che si ritrova a vivere acquista il potere miracoloso e affascinante di renderla una nuova osservatrice e spettatrice di cose e di fatti, compreso il periodo trascorso all'Istituto John Grier. In questo modo raggiunge un'altra importante verità - anche influenzata dagli studi e dalle infinite letture - cioè che è sufficiente preoccuparsi della felicità presente, non del male passato.

In mezzo a questa nuova ed esaltante felicità afferra l'importanza di Papà Gambalunga, di quello che ha fatto per lei e di quello che potrebbe ancora fare, dopotutto. Non solo diventa un sostegno quotidiano, una forza nuova, un supporto a cui aggrapparsi sempre, ma soprattutto è diventato colui che le ha regalato la vita, la libertà, l'indipendenza, la felicità.

La felicità ritrovata le ha permesso di giungere ad un'importante conclusione. La felicità che si forma in tenera età è una parentesi di vita fondamentale per l'esistenza; è una certezza che si conferma col passare del tempo; è una protezione contro gli ostacoli della salute; è un caposaldo verso la quale  riguardare e riguardarsi.

Penso che chiunque, non importa quanti problemi possa avere quando crescerà, debba avere un'infanzia felice verso la quale guardare. E se avrò mai dei bambini miei, non importa quanto felice possa essere, non permetterò che abbiano alcuna preoccupazione prima di crescere.

Riconosce la felicità come un bene prezioso a cui tutti dovrebbero poter accedere indistintamente. 
In questo modo tutti possono essere - anche se per un giorno, un'ora, un attimo - dei sovrani le cui ricchezze si basano, non su terreni, abiti o gioielli, ma su montagne enormi, alte, quasi invalicabili, dove si accumula infinita felicità. 

E la più grande felicità consiste nel ritrovare gioia e serenità nelle cose più piccole, imparando a vivere il presente, senza rimpiangere continuamente il passato o anticipare il futuro. Cogliere l'attimo sempre, in ogni occasione significa saper vivere, e chi non lo fa è come se in parte fosse già morto. Vivere dunque significa cogliere l'attimo, e l'attimo può essere positivo o negativo, perciò per essere felici, l'attimo non deve essere necessariamente positivo; anche l'attimo negativo ha la sua utilità, e ci aiuta a conoscere un'esperienza. Ci aiuta a vivere appunto.

E allora il grande romanzo di Jean Webster non può che essere un inno alla vita, un grido all'insegnamento che niente è perso e che tutto è da imparare; vivere - lo sanno tutti - significa respirare, ma più di ogni altra cosa vivere significa essere liberi.
E la libertà è poter essere felici.

Sempre.

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