Daniel Pennac: Mio fratello - Recensione
La prima pagina di un libro è sempre fondamentale - forse è ancora più importante della copertina stessa - sia che si tratti di una dedica o delle prime parole delle prime righe del primo capitolo.
In questo caso compare per l'appunto una dedica che inizialmente non si capisce; molto spesso le dediche sono rivolte a persone che hanno avuto un certo influsso per quel manoscritto, oppure che hanno contribuito ad una qualche ispirazione nel realizzare in primis il testo e in secundis talvolta anche l'autore.
In questo caso compare per l'appunto una dedica che inizialmente non si capisce; molto spesso le dediche sono rivolte a persone che hanno avuto un certo influsso per quel manoscritto, oppure che hanno contribuito ad una qualche ispirazione nel realizzare in primis il testo e in secundis talvolta anche l'autore.
In questo caso si ritrova una citazione dello scrittore Herman Melville - colui che ha scritto il celebre romanzo Moby Dick - tratta da un'opera che si intitola Bartebly lo scrivano. Ovviamente le domande sorgono spontanee - e la curiosità insieme ad esse.
Je vous connais et je n'ai rien à vous dire
io vi conosco e non ho niente da dirvi
Frase insolita per segnare l'inizio di un libro, frase che poi si capirà in un secondo momento.
In questo caso narrativo Pennac si rivolge al fratello di cui - oltre a dedicargli il titolo - decide di raccontare qualcosa, qualsiasi cosa in un certo senso, che riguardi la sua persona, il suo rapporto con esso, il suo ricordo.
Bernard è morto a causa di un'operazione banale, purtroppo andata male - un errore umano qualcuno oserebbe dire; ma chi osa dire una frase del genere, probabilmente non sa cosa significhi perdere davvero qualcuno a causa di una "semplice" operazione. Non sa quanto possa valere la parola SEMPLICE o la parola UMANO, tanto meno il potere della semplicità, la grandezza della fatalità.
Bernard è morto a causa di un'operazione banale, purtroppo andata male - un errore umano qualcuno oserebbe dire; ma chi osa dire una frase del genere, probabilmente non sa cosa significhi perdere davvero qualcuno a causa di una "semplice" operazione. Non sa quanto possa valere la parola SEMPLICE o la parola UMANO, tanto meno il potere della semplicità, la grandezza della fatalità.
Quel grande amore fraterno - quasi platonico - lo induce a parlare, a scrivere, e a ricordare soprattutto: in una sessantina di capitoli molto brevi, l'autore elenca ricordi su ricordi; alcuni sono descritti con maggiori dettagli, altri sembrano essere buttati sulla carta come di getto, facendo diventare così le parole simili a rapide pennellate piene di colore.
Ma questi ricordi si alternano a capitoli in cui l'autore, parlando in prima persona, racconta di come e perchè abbia voluto portare in scena il Bartebly di Melville. Occorre infatti tener presente che Daniel Pennac, oltre ad essere un celebre scrittore e insegnante, è per giunta anche autore di testi teatrali e di monologhi; ecco allora spiegata la presenza di quella citazione all'inizio del libro; ed ecco allora perchè proprio l'evento del fratello deceduto da sedici mesi, e il fatto che entrambi amassero quel manoscritto di Melville, siano diventati pretesti per realizzare uno spettacolo, il quale a sua volta è diventato pretesto per la realizzazione di un racconto. E così è nato Mio fratello.
Ma questi ricordi si alternano a capitoli in cui l'autore, parlando in prima persona, racconta di come e perchè abbia voluto portare in scena il Bartebly di Melville. Occorre infatti tener presente che Daniel Pennac, oltre ad essere un celebre scrittore e insegnante, è per giunta anche autore di testi teatrali e di monologhi; ecco allora spiegata la presenza di quella citazione all'inizio del libro; ed ecco allora perchè proprio l'evento del fratello deceduto da sedici mesi, e il fatto che entrambi amassero quel manoscritto di Melville, siano diventati pretesti per realizzare uno spettacolo, il quale a sua volta è diventato pretesto per la realizzazione di un racconto. E così è nato Mio fratello.
L'autore dice esplicitamente come lui stesso si senta legato a quel romanzo di Melville. La voce narrante dell'opera, a suo dire, che sarebbe stata l'equivalente di un attuale notaio, era molto simile a lui e per questo motivo dice di essersi spesso immedesimato. Tuttavia ha voluto riadattare la storia originale. Decide quindi di raccontare la storia di questo giovane Bartebly - un ragazzo decisamente particolare e taciturno - che inizia a lavorare nell'ufficio del notaio narrante. Purtroppo, ad ogni compito che gli veniva assegnato, anche alla più banale e innocua commissione, lui rispondeva sempre allo stesso modo: "Preferirei di no".
Col tempo la situazione si è complicata perchè il notaio, non avendo nessuno su cui fare affidamento, e ricevendo sempre rifiuti come risposta, e non riuscendo nemmeno a licenziare Bartebly, si sentì costretto a cambiare ufficio lasciano il suo-ormai-ex-dipendente nel vecchio locale.
Poco tempo dopo venne a sapere che il proprietario del vecchio ufficio, trovandosi di fronte alla medesima situazione del notaio, si era ritrovato costretto a dover cacciare Bartebly, come se un Bartebly fosse un malanno, un impiccio, qualcosa di cui sbarazzarsi il prima possibile. Per questo motivo - per le stesse motivazioni del nostro notaio direi - sfinito da una pazienta arrivata al limite, lo fece rinchiudere in una sorta di prigione speciale, isolato da tutti;
ma questo isolamento non fece altro che peggiorare la situazione di Bartebly - di cui alla fine si viene a scoprire che era un tipo alquanto strano, con qualche problema psichico - e così un giorno, quando il notaio giunse per la sua seconda visita, trovò il suo vecchio dipendente - ormai quasi figlio, quasi fratello, quasi un po' tutto - lì disteso su un lato, rigido come un sasso e gli occhi aperti.
Quella fu l'ultima volta che vide Bartebly.
Dopo il suo funerale - alquanto triste - giunse la voce che il nostro signor Bartebly era stato un impiegato nell'ufficio delle lettere smarrite di Washington, da cui sarebbe stato cacciato per un improvviso cambiamento amministrativo.
Insomma, avete presente che cosa significhi fare un lavoro talmente monotono da diventare letteralmente monotoni voi stessi? Negli atteggiamenti, nel fare e disfare, nel parlare, nell'essere. E poi pum, un giorno tutto questo svanisce, viene interrotto, stoppato per sempre. Come se a comandare la tua vita ci fosse un omino seduto accanto a te che, nel momento più inopportuno, decide di premere il tasto esc, e farti sentire la persona più inutile del mondo. Ma ora è troppo tardi, e tu non sai più chi sei, cosa sei diventato, cosa dovrai fare per emergere da quel danno creato - ormai irreparabile. Riesci solo a percepire come ti vedono gli altri esternamente, e tu - tu sei lì, fermo, incantato e annebbiato che non sai più nulla, non sai ormai più che cosa voglia dire vivere. Mentre avverti queste percezioni, ti sforzi a far uscire qualche parola sensata, qualche frase formulata in una maniera almeno comprensibile, ma non riesci; non riesci perchè il tuo cervello non te lo consente, blocca tutto. E così riesci soltanto a dire Preferirei di no perchè chissà un giorno che cosa ti avevano detto o chiesto o imposto; sarà che quel giorno e quell'evento hanno lasciato un segno, un segno che poi è diventato vitale; sarà che non sarà più nulla ormai.
Questa piccola ma intensa storiella non è poi così semplice come potrebbe farci pensare. Vedete, la bellezza della semplicità è proprio questa, cioè il fatto di avere due facce di cui una è invisibile, che solo pochi riescono magari a scorgere; ed è quella della difficoltà. Perchè si, la semplicità è un alter ego in fin de' conti: vuole trasparire come qualcosa, ma quel qualcosa poi scompare e si annulla in se stessa.
In questo caso il racconto di Melville, Pennac sembra voler creare un parallelismo con la sua vicenda personale - fraterna. Lui stesso dice di essersi spesso immedesimato, perciò questo non può che renderci chiara l'interpretazione. Ed allora ecco che le mille peripezie di Bartebly diventano le mille peripezie Di e Con Bernard, l'uomo, il fratello dalla protezione infinita, dalla grande umiltà, dalla profonda ironia, dall'estrema gentilezza.
Proprio come riporta la foto in fondo al libro; nella penultima pagina Pennac ha deciso di riportare una vecchia foto appunto - di quelle ancora in bianco e nero - che ritrae lui e suo fratello seduti al di sopra di un muretto quando erano ancora molto piccoli - forse qualche paio d'anni. Bernard fa il gesto di abbracciarlo da dietro; entrambi guardano l'obiettivo. Bernard è serio, sicuro di sé nonostante l'età, lui sorride compiaciuto.
E allora è lì che tutto nasce. Da quel primo - forse - abbraccio fraterno tutto sembra essersi consolidato per sempre, come un patto per la vita. Ed è proprio per questo che un giorno Bernard, quando una volta stava di nuovo rischiando la vita, dice di aver quasi visto la morte - il famoso tunnel, quel fascio di luce che ti attira e che non riesci a rifiutare, non riesci a non toccare.
Ed è proprio lì che Bernard si è detto No, non posso fare una cosa del genere, Daniel ci resterebbe troppo male; allora ho fatto marcia indietro.
Col tempo la situazione si è complicata perchè il notaio, non avendo nessuno su cui fare affidamento, e ricevendo sempre rifiuti come risposta, e non riuscendo nemmeno a licenziare Bartebly, si sentì costretto a cambiare ufficio lasciano il suo-ormai-ex-dipendente nel vecchio locale.
Poco tempo dopo venne a sapere che il proprietario del vecchio ufficio, trovandosi di fronte alla medesima situazione del notaio, si era ritrovato costretto a dover cacciare Bartebly, come se un Bartebly fosse un malanno, un impiccio, qualcosa di cui sbarazzarsi il prima possibile. Per questo motivo - per le stesse motivazioni del nostro notaio direi - sfinito da una pazienta arrivata al limite, lo fece rinchiudere in una sorta di prigione speciale, isolato da tutti;
ma questo isolamento non fece altro che peggiorare la situazione di Bartebly - di cui alla fine si viene a scoprire che era un tipo alquanto strano, con qualche problema psichico - e così un giorno, quando il notaio giunse per la sua seconda visita, trovò il suo vecchio dipendente - ormai quasi figlio, quasi fratello, quasi un po' tutto - lì disteso su un lato, rigido come un sasso e gli occhi aperti.
Quella fu l'ultima volta che vide Bartebly.
Dopo il suo funerale - alquanto triste - giunse la voce che il nostro signor Bartebly era stato un impiegato nell'ufficio delle lettere smarrite di Washington, da cui sarebbe stato cacciato per un improvviso cambiamento amministrativo.
Insomma, avete presente che cosa significhi fare un lavoro talmente monotono da diventare letteralmente monotoni voi stessi? Negli atteggiamenti, nel fare e disfare, nel parlare, nell'essere. E poi pum, un giorno tutto questo svanisce, viene interrotto, stoppato per sempre. Come se a comandare la tua vita ci fosse un omino seduto accanto a te che, nel momento più inopportuno, decide di premere il tasto esc, e farti sentire la persona più inutile del mondo. Ma ora è troppo tardi, e tu non sai più chi sei, cosa sei diventato, cosa dovrai fare per emergere da quel danno creato - ormai irreparabile. Riesci solo a percepire come ti vedono gli altri esternamente, e tu - tu sei lì, fermo, incantato e annebbiato che non sai più nulla, non sai ormai più che cosa voglia dire vivere. Mentre avverti queste percezioni, ti sforzi a far uscire qualche parola sensata, qualche frase formulata in una maniera almeno comprensibile, ma non riesci; non riesci perchè il tuo cervello non te lo consente, blocca tutto. E così riesci soltanto a dire Preferirei di no perchè chissà un giorno che cosa ti avevano detto o chiesto o imposto; sarà che quel giorno e quell'evento hanno lasciato un segno, un segno che poi è diventato vitale; sarà che non sarà più nulla ormai.
Questa piccola ma intensa storiella non è poi così semplice come potrebbe farci pensare. Vedete, la bellezza della semplicità è proprio questa, cioè il fatto di avere due facce di cui una è invisibile, che solo pochi riescono magari a scorgere; ed è quella della difficoltà. Perchè si, la semplicità è un alter ego in fin de' conti: vuole trasparire come qualcosa, ma quel qualcosa poi scompare e si annulla in se stessa.
In questo caso il racconto di Melville, Pennac sembra voler creare un parallelismo con la sua vicenda personale - fraterna. Lui stesso dice di essersi spesso immedesimato, perciò questo non può che renderci chiara l'interpretazione. Ed allora ecco che le mille peripezie di Bartebly diventano le mille peripezie Di e Con Bernard, l'uomo, il fratello dalla protezione infinita, dalla grande umiltà, dalla profonda ironia, dall'estrema gentilezza.
Proprio come riporta la foto in fondo al libro; nella penultima pagina Pennac ha deciso di riportare una vecchia foto appunto - di quelle ancora in bianco e nero - che ritrae lui e suo fratello seduti al di sopra di un muretto quando erano ancora molto piccoli - forse qualche paio d'anni. Bernard fa il gesto di abbracciarlo da dietro; entrambi guardano l'obiettivo. Bernard è serio, sicuro di sé nonostante l'età, lui sorride compiaciuto.
E allora è lì che tutto nasce. Da quel primo - forse - abbraccio fraterno tutto sembra essersi consolidato per sempre, come un patto per la vita. Ed è proprio per questo che un giorno Bernard, quando una volta stava di nuovo rischiando la vita, dice di aver quasi visto la morte - il famoso tunnel, quel fascio di luce che ti attira e che non riesci a rifiutare, non riesci a non toccare.
Ed è proprio lì che Bernard si è detto No, non posso fare una cosa del genere, Daniel ci resterebbe troppo male; allora ho fatto marcia indietro.
Eppure nonostante il dolore e la malinconia, Pennac dice di non sapere effettivamente chi ha perso; si, perché come si sa, due fratelli quando sono ancora piccini vivono due vite in perfetta simbiosi, ma non appena i corpi crescono, le differenze aumentano e così ci si allontana, poco per volta, con calma, in silenzio, finché non ci si conosce più.
Ma la consapevolezza di una perdita - soprattutto di una perdita così vicina - non può che ripristinare tutto, riavvolgere il nastro delle videocassetta dei ricordi e riportare tutto a galla, come se fossi ancora quel bambino di due anni, sorridente, seduto sopra quel muretto.
E allora si ricorda.
Si ricorda della famosa frase che disse il "giorno della luce nel tunnel": Vivere non è mica uno scherzo. E lui ora lo sa, o forse - dentro di lui - l'ha sempre saputo.
Ma la consapevolezza di una perdita - soprattutto di una perdita così vicina - non può che ripristinare tutto, riavvolgere il nastro delle videocassetta dei ricordi e riportare tutto a galla, come se fossi ancora quel bambino di due anni, sorridente, seduto sopra quel muretto.
E allora si ricorda.
Si ricorda della famosa frase che disse il "giorno della luce nel tunnel": Vivere non è mica uno scherzo. E lui ora lo sa, o forse - dentro di lui - l'ha sempre saputo.
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