Elsa Morante: L'isola di Arturo - Recensione
Una scrittrice come Elsa Morante non ha bisogno di troppe spiegazioni e frivolezze - ha bisogno soltanto di essere letta, e riletta ancora. Proprio attraverso questo atto di semplice e pura lettura si riscopre la bellezza di essere vivi e affascinati dalla vita - una vita che sembra fondersi con le parole lette e consumate e respirate giorno dopo giorno.
Quando si legge un romanzo come questo - come "L'isola di Arturo"- si vive una realtà parallela; una realtà - che paradossalmente rispetto al suo significato originario - sembra costruita in una bolla virtuale, fantastica, che sa di impossibile - ma pur sempre mantenendo quel velo sottile di verità che lascia il lettore incollato alle pagine, inserito ormai in un mondo che gli appartiene.
Il mondo in cui questa bellissima storia si sviluppa è Procida, un luogo incantato del Sud-Italia che viene descritto in ogni attimo come incantato, così da lasciar trasparire quella sua bellezza divina che ancora oggi affascina e illumina gli animi.
Il mare, il gioco di riflessi dell'acqua con il sole che sembrano giocare a nascondino, le scogliere aride e scoscese, il dolce suono della popolazione affaccendata nelle sue azioni quotidiane, il cinguettìo degli uccellini che sembrano adorare il luogo come fecero le sirene con Ulisse; e poi l'infinita bellezza delle stagioni con i suoi mille e differenti colori, i tramonti precoci, i giorni di pioggia, il caldo torrido.
Così, attraverso questa sapiente descrizione paesaggistica si apre il romanzo-mondo della Morante e subito non si può che rimanere affascinati dalla grandezza, dal potere, dalla gentilezza, dal suono delle parole. Cullano in una dolce ninnananna verso una storia che ha dell'incredibile.
Arturo - e la sua isola, naturalmente - sono i protagonisti indiscussi di questa storia.
Arturo si è sempre sentito un elemento unico e speciale con la sua amata Procida; terra in cui è nato, in cui ha vissuto, in cui è cresciuto e in cui ha capito.
Ha capito infatti che la solitudine è sempre stata la sua più dolce compagna, la quale fin da quando era piccino gli è stato accanto soprattutto nei momenti difficili, ingiusti. Quei momenti erano quando si disperava per la morte della madre, o quando il padre - un uomo alquanto austero e diffidente - decideva di partire improvvisamente lasciandolo in balìa delle proprie giornate, o quando il suo cane Imacolatella è defunta dopo un parto.
Fin dal principio Arturo ha dovuto affrontare prove di un adulto, e quando poi è diventato adulto ha dovuto affrontare invece prove di un bambino. Con la forza di un gigante è riuscito a sopravvivere al dolore più grande che può capitare nella vita - la morte di una madre appunto, come si diceva poc'anzi - ma con la stessa debolezza di un fanciullo non è stato in grado di sopportare un padre assente, poco premuroso, sempre lontano e di cui capisce di essere profondamente geloso - possessivo.
Perciò con lo scorrere del tempo, Arturo è cresciuto ma investito da mille emozioni contrastanti: come quando un giorno suo padre - dopo l'ennesima assenza da Procida - ritorna in compagnia di una donna - nonché sua futura matrigna - la quale ha subito odiato ma che allo stesso tempo ha successivamente amato. Il dover dividere con una donna il grande eroe di sempre era impensabile, e così allo stesso modo, dividere con lei il tempo, le risate, le chiacchere era tanto più che inimmaginabile.
La casa di Arturo si chiamava La casa dei Guaglioni che come si potrà facilmente intuire significava "la casa dei ragazzi"; un nome non del tutto indifferente alla storia dei fatti raccontati, perchè questa casa era in realtà appartenuta ad un importante signore dell'isola il quale - fra i mille vanti che gli si attribuivano, quali le svariate cene e feste realizzate nella sua dimora - era più che altro conosciuto come un vecchio signore, grande odiatore delle donne. Questa sontuosa dimora - che spesso viene chiamata castello, anche se di "castello" ha davvero ben poco - è stata poi donata in grande affetto al celebre Whilelm Gerace, padre di Arturo.
E così ora, trovare una donna all'interno di quelle quattro mura diveniva per Arturo un oltraggio - un errore che finiva per assumere un enorme contraddizione nel volto di suo padre. Da qui, quella profonda stima, quella veneranda adorazione, incomincia a rotolare verso il basso, come una biglia che vien fatta scivolare lungo un piano inclinato.
Sempre più veloce, scorre - senza fermarsi.
Scorre e basta.
Arturo si trova così costretto a dover convivere con una persona che sostanzialmente non conosce e non capisce - come la sua profonda ignoranza nata in un ambiente semplice che sa di quotidiano e di vita. Una mancanza di sapere abissale e quasi paradossale in confronto a quelle mille letture che il nostro Arturo ha conosciuto durante la sua intera esistenza; letture, parole, pagine che dopotutto lo hanno salvato da quel senso di vuoto da eremita unito ad un intenso sapore di morte. Perchè leggendo questa storia e capendo questa immensa solitudine si intuisce come quei libri siano stati salvifici per la vita di Arturo che è - semplicemente e prima di tutto - un fanciullo.
Racconti che gli hanno permesso di rifugiarsi in un modo lontano, misto di antico e di favoloso.
Forse quella lontananza l'ha sempre desiderata in fondo al suo cuore, forse perchè lui in primis si sentiva lontano da tutto e da tutti, e perciò proprio in questa lontananza ritrovava una strana pace: unica arma vincente contro il dolore.
Con il passare delle stagioni, Arturo diventa sempre più un uomo e in quanto tale nascono le prime scoperte; tra queste, l'amore. Non sa esattamente cosa sia o cosa si provi poichè non l'ha mai vissuto e tanto meno nessuno gli ha mai rivolto anche solo un gesto di dolcezza - unica eccezione il suo vecchio balio. D'altronde la perdita di una madre è stata sicuramente la causa della sua confusione in merito e della sua incomprensione nella distinzione dei sentimenti. Perciò le persone non hanno emozioni e non provano nulla, ma semplicemente vivono come esseri vuoti, come semplicemente composti d'aria - come palloncini, ma con gambe e braccia.
L'inatteso e improvviso e ingiustificato bacio dato alla matrigna diventa prova di quanto detto; e quel contatto diventa stimolo di riflessione sulla natura umana e sui suoi perchè. Da qui i dubbi e le questioni intime riguardo l'amore del padre - un amore che forse non è mai esistito e che mai ha respirato veramente, ma semmai che è sempre stato costretto, forzato, innaturale.
Nemmeno la nascita del fratellastro gli consente di acquietare il proprio animo; naviga fra continui sentimenti di apprezzamento e di gelosia, di amore e di risentimento, di appagamento e di inganno. Non sa spiegarsi queste emozioni, nemmeno quando in alcuni casi si tratta di belle e felici emozioni. Forse, il non aver vissuto tutto ciò che rende beati - anche solo per un attimo - ha reso Arturo un ragazzo - e poi un uomo - contrastante, in primis verso se stesso.
Gettato a capofitto in questa altalena fatta di sorrisi e di molti pianti, capisce ad un certo punto che l'unico rimedio a questo suo malessere perenne e totale è soltanto la mera lontananza da ciò che è stato culla del suo dolore: la sua amata Procida. Spinto così da questa insaziabile voglia di conoscenza - sempre viva da quando era solo un fanciullo - capisce che nulla è ancora perduto del tutto.
Parte, sale a bordo di un piroscafo, cammina sopra quella piccola scalinata che lo conduce a bordo e nel frattempo - passo dopo passo, un piede dietro l'altro - si guarda intorno e respira per l'ultima volta quell'aria e quei profumi e quei rumori con cui è cresciuto, e che sempre tuttavia ricorderà per il semplice fatto di aver vissuto - ma vissuto veramente.
Non è facile spiegare quanto questo libro sia coinvolgente e fresco e pulito - come se fosse stato scritto soltanto ieri. Se c'è una cosa, una chiave di lettura fondamentale in tutte queste righe è che la vita - per quanto sia dura, folle, inspiegabile per certi aspetti, ma soprattuto stronza - rimane pur sempre vita - la tua vita.
La puoi modellare come più ti piace, dandogli la forma che più ti aggrada - restituendo così a te stesso un piccolo ma significativo senso di appagamento.
E così respiri, apri i polmoni, inali dolci profumi che sanno di conoscenza e di amare verità, fino ad arrivare al punto di inebriarti di vita.
Pura e semplice vita.
Solo vita.
◆◇◆◇
Quando si legge un romanzo come questo - come "L'isola di Arturo"- si vive una realtà parallela; una realtà - che paradossalmente rispetto al suo significato originario - sembra costruita in una bolla virtuale, fantastica, che sa di impossibile - ma pur sempre mantenendo quel velo sottile di verità che lascia il lettore incollato alle pagine, inserito ormai in un mondo che gli appartiene.
Il mondo in cui questa bellissima storia si sviluppa è Procida, un luogo incantato del Sud-Italia che viene descritto in ogni attimo come incantato, così da lasciar trasparire quella sua bellezza divina che ancora oggi affascina e illumina gli animi.
Il mare, il gioco di riflessi dell'acqua con il sole che sembrano giocare a nascondino, le scogliere aride e scoscese, il dolce suono della popolazione affaccendata nelle sue azioni quotidiane, il cinguettìo degli uccellini che sembrano adorare il luogo come fecero le sirene con Ulisse; e poi l'infinita bellezza delle stagioni con i suoi mille e differenti colori, i tramonti precoci, i giorni di pioggia, il caldo torrido.
Così, attraverso questa sapiente descrizione paesaggistica si apre il romanzo-mondo della Morante e subito non si può che rimanere affascinati dalla grandezza, dal potere, dalla gentilezza, dal suono delle parole. Cullano in una dolce ninnananna verso una storia che ha dell'incredibile.
Arturo - e la sua isola, naturalmente - sono i protagonisti indiscussi di questa storia.
Arturo si è sempre sentito un elemento unico e speciale con la sua amata Procida; terra in cui è nato, in cui ha vissuto, in cui è cresciuto e in cui ha capito.
Ha capito infatti che la solitudine è sempre stata la sua più dolce compagna, la quale fin da quando era piccino gli è stato accanto soprattutto nei momenti difficili, ingiusti. Quei momenti erano quando si disperava per la morte della madre, o quando il padre - un uomo alquanto austero e diffidente - decideva di partire improvvisamente lasciandolo in balìa delle proprie giornate, o quando il suo cane Imacolatella è defunta dopo un parto.
Fin dal principio Arturo ha dovuto affrontare prove di un adulto, e quando poi è diventato adulto ha dovuto affrontare invece prove di un bambino. Con la forza di un gigante è riuscito a sopravvivere al dolore più grande che può capitare nella vita - la morte di una madre appunto, come si diceva poc'anzi - ma con la stessa debolezza di un fanciullo non è stato in grado di sopportare un padre assente, poco premuroso, sempre lontano e di cui capisce di essere profondamente geloso - possessivo.
Perciò con lo scorrere del tempo, Arturo è cresciuto ma investito da mille emozioni contrastanti: come quando un giorno suo padre - dopo l'ennesima assenza da Procida - ritorna in compagnia di una donna - nonché sua futura matrigna - la quale ha subito odiato ma che allo stesso tempo ha successivamente amato. Il dover dividere con una donna il grande eroe di sempre era impensabile, e così allo stesso modo, dividere con lei il tempo, le risate, le chiacchere era tanto più che inimmaginabile.
La casa di Arturo si chiamava La casa dei Guaglioni che come si potrà facilmente intuire significava "la casa dei ragazzi"; un nome non del tutto indifferente alla storia dei fatti raccontati, perchè questa casa era in realtà appartenuta ad un importante signore dell'isola il quale - fra i mille vanti che gli si attribuivano, quali le svariate cene e feste realizzate nella sua dimora - era più che altro conosciuto come un vecchio signore, grande odiatore delle donne. Questa sontuosa dimora - che spesso viene chiamata castello, anche se di "castello" ha davvero ben poco - è stata poi donata in grande affetto al celebre Whilelm Gerace, padre di Arturo.
E così ora, trovare una donna all'interno di quelle quattro mura diveniva per Arturo un oltraggio - un errore che finiva per assumere un enorme contraddizione nel volto di suo padre. Da qui, quella profonda stima, quella veneranda adorazione, incomincia a rotolare verso il basso, come una biglia che vien fatta scivolare lungo un piano inclinato.
Sempre più veloce, scorre - senza fermarsi.
Scorre e basta.
Arturo si trova così costretto a dover convivere con una persona che sostanzialmente non conosce e non capisce - come la sua profonda ignoranza nata in un ambiente semplice che sa di quotidiano e di vita. Una mancanza di sapere abissale e quasi paradossale in confronto a quelle mille letture che il nostro Arturo ha conosciuto durante la sua intera esistenza; letture, parole, pagine che dopotutto lo hanno salvato da quel senso di vuoto da eremita unito ad un intenso sapore di morte. Perchè leggendo questa storia e capendo questa immensa solitudine si intuisce come quei libri siano stati salvifici per la vita di Arturo che è - semplicemente e prima di tutto - un fanciullo.
Racconti che gli hanno permesso di rifugiarsi in un modo lontano, misto di antico e di favoloso.
Forse quella lontananza l'ha sempre desiderata in fondo al suo cuore, forse perchè lui in primis si sentiva lontano da tutto e da tutti, e perciò proprio in questa lontananza ritrovava una strana pace: unica arma vincente contro il dolore.
Con il passare delle stagioni, Arturo diventa sempre più un uomo e in quanto tale nascono le prime scoperte; tra queste, l'amore. Non sa esattamente cosa sia o cosa si provi poichè non l'ha mai vissuto e tanto meno nessuno gli ha mai rivolto anche solo un gesto di dolcezza - unica eccezione il suo vecchio balio. D'altronde la perdita di una madre è stata sicuramente la causa della sua confusione in merito e della sua incomprensione nella distinzione dei sentimenti. Perciò le persone non hanno emozioni e non provano nulla, ma semplicemente vivono come esseri vuoti, come semplicemente composti d'aria - come palloncini, ma con gambe e braccia.
L'inatteso e improvviso e ingiustificato bacio dato alla matrigna diventa prova di quanto detto; e quel contatto diventa stimolo di riflessione sulla natura umana e sui suoi perchè. Da qui i dubbi e le questioni intime riguardo l'amore del padre - un amore che forse non è mai esistito e che mai ha respirato veramente, ma semmai che è sempre stato costretto, forzato, innaturale.
Nemmeno la nascita del fratellastro gli consente di acquietare il proprio animo; naviga fra continui sentimenti di apprezzamento e di gelosia, di amore e di risentimento, di appagamento e di inganno. Non sa spiegarsi queste emozioni, nemmeno quando in alcuni casi si tratta di belle e felici emozioni. Forse, il non aver vissuto tutto ciò che rende beati - anche solo per un attimo - ha reso Arturo un ragazzo - e poi un uomo - contrastante, in primis verso se stesso.
Gettato a capofitto in questa altalena fatta di sorrisi e di molti pianti, capisce ad un certo punto che l'unico rimedio a questo suo malessere perenne e totale è soltanto la mera lontananza da ciò che è stato culla del suo dolore: la sua amata Procida. Spinto così da questa insaziabile voglia di conoscenza - sempre viva da quando era solo un fanciullo - capisce che nulla è ancora perduto del tutto.
Parte, sale a bordo di un piroscafo, cammina sopra quella piccola scalinata che lo conduce a bordo e nel frattempo - passo dopo passo, un piede dietro l'altro - si guarda intorno e respira per l'ultima volta quell'aria e quei profumi e quei rumori con cui è cresciuto, e che sempre tuttavia ricorderà per il semplice fatto di aver vissuto - ma vissuto veramente.
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La puoi modellare come più ti piace, dandogli la forma che più ti aggrada - restituendo così a te stesso un piccolo ma significativo senso di appagamento.
E così respiri, apri i polmoni, inali dolci profumi che sanno di conoscenza e di amare verità, fino ad arrivare al punto di inebriarti di vita.
Pura e semplice vita.
Solo vita.
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